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Genitori-figli

CHE FINE FANNO I BULLI E IL BULLISMO? – Seconda parte: di Stefano Salvadeo

CHE FINE FANNO I BULLI E IL BULLISMO? – Seconda parte
di Stefano Salvadeo

Un diciasettenne, in terapia, mi racconta che non esce di casa e non lega con i suoi compagni perché ha paura che lo bullizzino ancora. I genitori molto preoccupati per il fatto che il figlio non esce mai di casa mi chiedono una consulenza perché non si spiegano come sia possibile.

Quando faccio notare che le serate e le feste a Milano sono rischiose per chi non vuole fare certe cose (alcol, droghe, sfide, ecc.) mi rispondono candidamente che secondo loro non è possibile e che comunque non immaginavano un ambiente di questo tipo. Paradossalmente si sentono dire, da me, che il figlio fa bene a stare a casa e giocare alla “play”, piuttosto che mettersi in situazioni sociali rischiose.

Sempre lo stesso ragazzo mi dice che non vede l’ora di uscire dal liceo così non avrà più a che fare con questi comportamenti; non vede l’ora di andare all’Università o nel mondo del lavoro dove non dovrà avere a che fare con certa gente. Lo invito a riflettere sul fatto che questi comportamenti, cioè il bullismo, non passano con la fine della scuola, ma anzi sono trasversali. Anche in istituzioni che per loro natura studiano il comportamento umano è facile incontrare persone affette da bullismo che sadicamente esercitano il loro potere contro chi è, in quel momento, in una posizione asimmetrica.

Così sembrerebbe un discorso senza speranza, invece credo che sia importante riconoscere il bullismo alla stregua di un problema umano, un virus del comportamento, contro il quale il vero antidoto credo sia la capacità di cambiare strada in libertà senza farci condizionare dall’idea che se non reagiamo siamo deboli o se non ci adeguiamo rimarremo esclusi .

Cambiare strada…

Spesso mi capita di vedere genitori molto arrabbiati all’idea che il figlio sia preso di mira e che nessuno dica o faccia niente contro i persecutori, questi ragazzotti cattivi. I genitori si presentano a scuola e chiedono, legittimamente, giustizia per il figlio vittima. Serpeggia in questi colloqui un’idea di dover difendere il figlio perché non riesce a farlo da solo in quanto debole. Anche con i genitori cerco il più possibile di mostrar loro il problema come qualcosa di non strettamente collegato al figlio ma come socialmente presente. Mentre per quanto riguarda gli aspetti emotivi e del mondo interno del ragazzo/a vittima si lavora in terapia, è importante che i genitori comprendano come la cosa migliore che si può fare per aiutare il figlio è sostenerlo nel reagire all’imprevedibilità dei comportamenti dei bulli mettendosi in sicurezza, cambiando luogo o strada, e sottolineando loro che evitare il contatto con i persecutori non rappresenta un segno di debolezza, ma un modo responsabile di proteggere se stessi.

Nella mia esperienza personale, da adolescente, sono stato anch’io convinto che tra adulti certi comportamenti non si sarebbero più presentati e invece mi sono ritrovato a riconoscere il cosiddetto bullismo in tanti luoghi. Cambia forma, si traveste, a volte parla in modo forbito, è educato, elegante, non ti attacca più fisicamente, non ti aspetta fuori da scuola per fare i conti; ma sempre bullismo è. Come fare allora? Beh, io tutte le volte che lo riconosco cambio strada, frequentazioni e luoghi. Certo questa scelta chiede un regolare lavoro di cambiamento personale, di elaborazione della delusione, di attesa e di ricerca ma consente di non sentirsi intrappolati in dinamiche solo apparentemente giuste, in realtà colpevolizzanti, e di poter esprimere le proprie idee aspettando tempi migliori, in libertà.