GENITORI CERCASI: L’ANTITESI DELLE FUNZIONI GENITORIALI
di Claudia Balottari
Genitori Cercasi è l’ultimo libro di Andrea Vitali (Einaudi, pp. 152, euro 16) e racconta la storia di Velarus, il bambino diventato invisibile perché mai visto, mai toccato dai genitori. Alla nascita non è stato messo tra le braccia della madre perché dopo il primo vagito «lei non c’era già piú, era dovuta andare via, aveva fretta”, era una donna d’affari. Così tanta fretta che riesce a ottenere dal medico – dietro lauto compenso – di partorire al settimo mese di gravidanza: anche la natura è un’entità che si può corrompere! E il padre “apprese della mia nascita per telefono, era da qualche parte, lontano”, occupato a fare affari.
I genitori di Velarus sono “programmati per fare soldi”, hanno generato il figlio su consiglio “saggio” di qualcuno che li avvertiti: avrete bisogno di un figlio che si prenda cura di voi, una prospettiva che rovescia la genitorialità, addossandola al figlio. Che il figlio abbia bisogno delle loro cure non è contemplato, ed è così che lo affidano al tassista che li trasporta per affari e che – sempre dietro lauto compenso – dovrà provvedere a ciò che serve per crescerlo. Quando vengono a conoscenza che Velarus, sempre più pallido, è diventato invisibile, ne intuiscono la potenzialità affascinante, fiutano il business e… lo mettono all’asta.
Individui che hanno perso la libertà di provare emozioni e di darsi il tempo della condivisione affettiva generano cinismo, assenza di tenerezza, spinta vendicativa. Sarà questo il destino di Velarus.
Ormai figlio “emancipato”, egli racconta: “I miei sono genitori per convenzione (…). Cominciamo dal nome, Velarus. Lo scelse quella scema di mia madre. L’idiota che era mio padre non si oppose, e cosí fu». Così Velarus svela la propria condizione, presentando la coppia genitoriale con un disprezzo che ne individua la nullità e che li disconosce. Preparerà una vendetta, che andrà a segno, costruendo un progetto di ribaltamento che rimanderà indietro la “nientificazione” subita.
Con stile paradossale, ripetitivo e con i toni dell’assurda esagerazione, il racconto sembra parafrasare le fiabe che parlano di abbandono dei figli. Ma qui non c’è separazione forzata dalla necessità, come nella fiaba di Pollicino; qui l’abbandono avviene per una struttura della vita che non ammette la libertà di provare emozioni, di desiderare la condivisione affettiva, predisponendosi al “bene supremo” della tenerezza e dell’amore per sé e per l’altro.
Funzioni della genitorialità
Ma è invece questa la predisposizione che prepara l’ambiente affettivo per l’inclusione di un figlio nella propria vita. Una predisposizione che nasce da un insieme di competenze che hanno il compito di accoglierlo nella sua dipendenza assoluta. Nei bisogni fisici e nelle indifferenziate manifestazioni di esistenza, che sono innanzitutto espressioni corporee: vita sensoriale che attende di ricevere significato, nominazione e legame relazionale, nel lungo processo che la trasformerà in capacità di pensare, cioè in riflessione che regola gli impulsi dell’agire, frenando la violenza e la rappresaglia.
D.W. Meltzer, psicoanalista che ha molto studiato le forme della follia umana, le descrive così:
– generare amore contrastando l’odio
– diffondere speranza contro la disperazione
– contenere il dolore depressivo
…infine: PENSARE
(In una prossima puntata: “Si può odiare con ragione?”. Ovvero: non sempre l’odio è distruttivo).
Claudia Balottari