I ragazzi di teams
di Monica Bomba
Teams (squadre) e le altre piattaforme online che hanno consentito di vedersi “a distanza” sono state la salvezza per molti di loro, gli adolescenti. Costretti a casa, a stretto contatto con i genitori e i fratelli e al contempo isolati, ciascuno nella propria stanza “a lavorare” durante i lunghi mesi di lock-down, ancora portano i segni di questa inusuale esperienza.
Le piattaforme, così necessarie che le usiamo ancora oggi per i colloqui con gli insegnanti, per le riunioni coi colleghi, per partecipare ai congressi, ci hanno permesso di mantenere un senso di comunità nei mesi desolati delle strade vuote, dei distanziamenti, delle mascherine. Siamo diventati tutti dei “ragazzi di teams” e, chi più chi meno, ci si è impratichiti, cosicché la tecnologia del secondo millennio è ormai accessibile anche ai più anziani.
Privati del contatto e dell’olfatto, siamo stati capaci di essere solidali e di mettere in comune idee, proposte, affetti, attraverso le piattaforme online.
Stefano Mancuso raccontava: “(Le piante) sono immobili ma comunicano, hanno radici ma formano una comunità̀ globale. Proprio come noi, in tempi di coronavirus”.
Gli iperconnessi
Un monito arriva, però, dagli adolescenti che hanno vissuto alcuni dei loro pochi anni di formazione in questo contesto: non è affatto scontato in un lockdown riuscire a superare l’isolamento e a mantenere un confronto evolutivo con i propri pari, così necessario per la crescita, la formazione identitaria e l’ingresso nella società civile. I ragazzi di teams si trovavano di nascosto, trasgredendo alle regole di distanziamento, oppure passavano intere serate davanti ai loro schermi, in gruppetti, scherzando e scambiandosi le informazioni che giungevano loro dal mondo adulto, sempre più distante e imperscrutabile. Sono diventati degli “iper-connessi”; Mario Brondi così li descrive: “commenti feroci e polsi sempre appoggiati. Alla fine, sono passati abbastanza inosservati”.
Gli adolescenti, inoltre, venivano citati dai media, nel periodo del Covid, quasi solo come possibili “untori” dei propri famigliari più anziani e più fragili. Le decisioni prese per limitare lo spargimento del virus hanno spesso finito con il limitare in particolare gli adolescenti. Ci si ricorda ad esempio che solo i congiunti avevano il diritto, inizialmente, di ritrovarsi, mentre i ragazzi avevano così il divieto di approfondire le loro relazioni affettive di persona?
Gli sconnessi
Per molti di loro la prova del lock-down è stata troppo dura. Quelli che non hanno potuto continuare a fare esperienza del gruppo dei pari in modo sufficientemente sano e integrato, si sono ritrovati isolati, sconnessi, senza protezione.
In questa perdita di ogni riferimento (il gruppo degli amici, il quotidiano, la famiglia, la scuola) nulla è più prevedibile e in grado di fornire un senso di continuità dell’esistere, così necessario per la fiducia e il desiderio di vivere. Gli adolescenti più fragili hanno così rivolto su loro stessi, sul corpo, le loro proteste. Lo sviluppo di disturbi alimentari, di ritiro sociale, di depressione e autolesionismo in questi ultimi anni è impressionante: i pronti soccorso esplodono, i servizi perdono i medici, che non riescono più a sostenere il carico di tante richieste. Ciò accade forse anche perché l’adolescente, divenuto “psichiatrico”, sembra quasi trovarsi emarginato dalla propria comunità e appannaggio dei soli sistema sanitario e famiglia. Ma i figli, i ragazzi, sono di tutti, della società che li crea e che dovrebbe poi prendersene cura. L’ecosistema sociale sarà sempre più sbilanciato e in pericolo di crollo senza politiche serie a favore dei più giovani.