“PREADOLESCENTI E LA GUERRA: UN GENITORE COME PUÒ AIUTARE”
di Luca Lovotti
Di che reggimento siete fratelli?
Parola tremante
nella notte;
Foglia appena nata;
Nell’aria spasimante
involontaria rivolta
dell’uomo presente alla sua fragilità
Ungaretti “Fratelli”
La preadolescenza è terra di confine tra l’infanzia e l’adolescenza, tra il conosciuto e sicuro e la scoperta, lo sconosciuto. Ma una terra di confine può essere invasa, occupata e deturpata. È un territorio non troppo ampio e dagli equilibri delicati come spesso accade ai luoghi frapposti tra spazi più grandi.
La preadolescenza è una cerniera o un crinale su cui i nostri ragazzi poggiano i piedi sapendo di poter scivolare di continuo dall’uno o dall’altro versante.
In qua, con un ritorno alla latenza, si ritroverebbero nuovamente dipendenti ma sicuri e pacificati, di là momentaneamente soli ma turbolenti e avventurosi. L’età del bravo bambino che “dove lo metti sta” oppure del “non lo riconosco più”, “non ha mai fatto così”.
Un’età di transito
Il ragazzo o la ragazza preadolescente si trovano a vivere in prima persona la frontiera. Le scuole medie, col passaggio al Lei verso i professori, la richiesta di una maggiore performance, il nuovo rapporto tra i sessi, accompagnano il transito in un ambiente meno tranquillizzante e nel contempo sono testimoni dell’attivarsi di spinte sessuali e aggressive provenienti dall’interno dei corpi in trasformazione.
In questa fase spesso nascono allarmi rispetto al rendimento, al bullismo o a condotte trasgressive. In una fase così ricca di sollecitazioni ciò che l’adulto può cercare di offrire è la tenuta del contesto e buoni stimoli affinché l’esigenza di cambiamento trovi terreni in cui potersi sviluppare.
Noi genitori siamo a metà strada tra il vederli ancora piccoli e il proporre o cercare una relazione più paritaria, attendendo le nuove competenze riflessive e astratte.
Come percepisce la guerra un preadolescente?
A questa età però il preadolescente tende a vivere in modo concreto i fenomeni: la guerra viene equiparata ad uno scontro tra due persone dove l’uno assume il ruolo dell’aggressore e l’altro dell’aggredito. Una descrizione semplice dei fatti, che nasce da una capacità ancora immatura di leggere la complessità delle vicende umane e dall’esperienza diretta in cui ci si misura con ingiustizie e piccole o grandi sopraffazioni, all’esterno del sicuro contesto famigliare.
1. Winnicott ne “Il bambino deprivato” descrive come il preadolescente possa avvicinare la guerra o il suo racconto partecipando per l’uno o per l’altro, arrivando anche a identificarsi con un dittatore come assunzione inconsapevole di una modalità rassicurante rispetto ai propri cambiamenti e alla possibile nuova responsabilità di fronte alle proprie scelte e desideri.
Per il preadolescente lo scenario di una guerra sufficientemente lontana può essere visto, sino ad un certo punto, come la rappresentazione del proprio mondo interno, fatto di spinte aggressive e riparative che si alternano e miscelano, modellando i primi tentativi di rinegoziazione dei legami con le figure di attaccamento. È un po’ come con un videogioco o una serie TV, lontani e nello stesso tempo vicino, la guerra è troppo perturbante per essere assunta come parte di una realtà che riguarda tutti nella propria quotidianità, ma nel contempo troppo reale per essere ignorata. L’incertezza, le morti mostrate e raccontate diventano a sprazzi reali, prima di venire nuovamente insabbiate nel quotidiano della sfida evolutiva del singolo preadolescente. Sono vissuti che, nel preconscio, si palesano in una domanda a cena o in una maggiore irritabilità.
La funzione protettiva dei genitori di fronte alla guerra
Quando la notizia, la sovrabbondanza di informazioni o immagini sembrano dilagare, siamo noi adulti ad avere il compito di accompagnare i ragazzi alla consapevolezza della potenziale distruttività della vita reale, tenendo contro dell’isomorfismo tra interno ed esterno che i nostri figli stanno vivendo.
Spinti dalla prossimità dei nuovi ultimi profughi nell’aula scolastica o nel palazzo, noi adulti siamo chiamati a parlare ai ragazzi: contrapponiamo alla ragione della violenza, la necessità della mediazione, del confronto tra ragioni diverse e della salvaguardia del legame. Di fatto la preadolescenza è anche l’età dei primi gruppi extra famigliari, luoghi relazionali di nuova sperimentazione, contesti di inclusione o esclusione. Il gruppo di pari come un gruppo di fratelli che provano insieme a varcare la frontiera verso l’adolescenza e poi l’età adulta.
La mancanza di parole in grado di accompagnare si traduce nell’assenza dell’adulto che trova una drammatica rappresentazione ne “Il signore delle mosche” di W. Golding. Nel romanzo i ragazzini (preadolescenti e bambini) naufragati su un’isola si ritrovano in guerra fra loro senza sapere perché: l’aggressività e il piacere del sentirsi forti da parte dei cacciatori rompe il fragile equilibrio del gruppo e delle regole date, fino a spingere una fazione a rompere il tabù dell’omicidio.
Nel romanzo Ralph, il leader riconosciuto inizialmente da tutto il gruppo, chiede tempo di pensare per capire come mettere fine allo scontro e si scopre così a sentire la mancanza delle leggi del mondo adulto. Quello stesso mondo adulto che nel cedere alla guerra sembra rinunciare alla propria capacità di legare la propria distruttività, aprendo le porte al caos stupido e ripetitivo come nella chiusura del Girotondo di De André
La guerra è dappertutto, Marcondiro’ndera
la terra è tutta un lutto, chi la consolerà?
Ci penseranno gli uomini, le bestie i fiori
i boschi e le stagioni con i mille colori.
Di gente, bestie e fiori no, non ce n’è più
viventi siam rimasti noi e nulla più.
La terra è tutta nostra, Marcondiro’ndera
ne faremo una gran giostra, Marcondiro’ndà.
Abbiam tutta la terra Marcondiro’ndera
giocheremo a far la guerra, Marcondiro’ndà…