RACCONTARE LA GUERRA AGLI ADOLESCENTI: “MISSION IMPOSSIBLE”
di Francesca Codignola
Raccontare la guerra agli adolescenti credo sia una missione impossibile. Si può, e forse si deve, cercare di parlarne con loro soprattutto invitandoli a dire ciò che ne pensano.
Spesso gli adulti colgono tutte le occasioni per “istruire” gli adolescenti, per comunicare i propri punti di vista, ritrovandosi spesso così di fronte al loro silenzio o a sentirsi guardati con sufficienza quando non con supponenza.
La guerra poi è un tema particolarmente scottante, non solo per la violenza insita nell’evento stesso ma per ciò che muove ed evoca in tutti noi e soprattutto negli adolescenti.
Gli adolescenti infatti vivono già, per finalità evolutive, una sorta di guerra: spesso contro gli adulti ma anche contro aspetti di se stessi, contro i loro stessi legami infantili, contro sentimenti depressivi di perdita e di lutto, contro il sentimento di confusione personale alla ricerca di una nuova, futura, identità individuale e sociale. Angosce di perdita e di morte sono quindi presenti in tutti gli adolescenti.

Opera di Banksy
La guerra e la pandemia: eventi traumatici
Eventi reali gravi, come la pandemia non ancora debellata, e la guerra in corso alle porte dell’Europa, rappresentano potenziali eventi traumatici che espongono la mente di tutti, adulti, adolescenti e bambini, alla percezione della nostra impotenza, al rischio di morte personale e dei nostri cari (ricordiamoci dei nonni “messi in pericolo” proprio dagli adolescenti durante la pandemia) alla consapevolezza della nostra umana fragilità.
Gli adulti stessi sperimentano un vissuto di confusione e non hanno risposte certe e rassicuranti da offrire agli adolescenti. Anche in questo senso raccontare la guerra è un compito impossibile, poiché non tiene conto del fatto che neanche gli adulti hanno delle vere risposte.
Però ascoltare cosa pensano gli adolescenti della guerra reale alle porte dell’Europa e con il rischio che ci possa riguardare ancor più da vicino può diventare un’occasione importante su più livelli.
Si può condividere con loro la delusione nei confronti dell’essere umano “bellicoso e violento” e il senso di impotenza, così da non lasciarli troppo soli. Si può cioè provare a ricreare con loro, ad un livello diverso da quello di quando erano bambini, una situazione di intimità e di vicinanza che ha per tutti una funzione rassicurante. Si può essere interessati alle loro osservazioni e opinioni, non necessariamente condividendole, ma convalidando comunque la loro volontà e capacità di pensare e di farsi idee personali, si può avere, e mostrare, fiducia nella loro forza nell’affrontare realtà difficili e penose. Si può anche condividere la speranza che esistano vie di uscita, la pace, e che il futuro non sia necessariamente spaventoso.
Se questo si realizza è probabile che si evitino delle derive che possono anche diventare drammatiche.
Quali conseguenze possono avere gli eventi traumatici
Gli eventi traumatici reali infatti mandano, per così dire, dei segnali che potrei definire subliminali o inconsci che potenziano i vissuti di precarietà, insicurezza e l’angoscia di morte: sono molto difficili da elaborare e la mente fragile degli adolescenti può cercare vie di fuga dal faticoso lavoro psichico di elaborazione attraverso agiti contro se stessi o contro gli altri, o diventando parte di gruppi eversivi o sviluppando forme di disagio psichico che vanno da stati di ansia e di depressione a disturbi alimentari, fino a più seri e strutturati disturbi dell’identità.
Per tutti, ma soprattutto per gli adolescenti, riuscire a mettere in pensieri e in parole la variegata serie di emozioni che questi eventi scatenano è una delle strade per sviluppare forza, fiducia, senso di appartenenza, spirito di condivisione e senso di responsabilità. Se gli adolescenti trovano adulti che li ascoltano con cura ed interesse possono non essere più preda di confusi sentimenti dolorosi, non riconoscibili, angoscianti e confondenti ma imparano a maneggiarli, a destreggiarsi e infine a padroneggiarli. E’ questo che dà quel senso di forza e di efficacia di cui hanno profondamente bisogno.
Il dialogo
Il dialogo così inteso fra adulti e adolescenti ha anche una funzione pedagogica: adulti che pongono domande, cercano insieme all’adolescente risposte, anche aperte e non definitive, che problematizzano l’argomento “guerra” senza cercare di arrivare ad una definizione esaustiva, chiusa e condivisa a tutti i costi, adulti che non si spaventano di fronte a dichiarazioni che possono apparire provocatorie e “stupide”, che non pretendono di arrivare ad un’identità di vedute con loro, sono adulti di cui l’adolescente può fidarsi, che lo fanno sentire sostenuto e molto meno solo, che lo stimolano ad andare avanti a costruire pensieri e convinzioni fino a favorire l’assunzione di atteggiamenti e comportamenti etici e ideali, proprio perché sostenuti da un contesto che li accoglie e li stimola.