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Franco Fornari

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Chi, come la sottoscritta, ha avuto la fortuna di conoscere Franco Fornari negli anni della sua formazione, quelli dell’Università e della Scuola di Specializzazione in Psicologia, e poi nei primi passi della vita professionale, ricorda con nostalgia il clima di lavoro fervido e produttivo, appassionato, che egli creava attorno a sé.

Alcune caratteristiche personali del Maestro indubbiamente contribuivano ad alimentare questo clima affettivo e culturale, forse permeato dall’assunto messianico che accompagna la nascita di concetti e modelli nuovi in un gruppo di lavoro impegnato a verificarli e diffonderli. Una visione utopica e appassionata della funzione etico-politica della psicoanalisi induceva Fornari a coinvolgersi e a coinvolgere chi gli stava accanto con contagioso entusiasmo nei progetti di ricerca che instancabilmente metteva in campo; amava ripetere che è importante “fare i compiti” e lo dimostrava con un’inesauribile produttività, testimoniata da un’ampia bibliografia che oltrepassa l’ambito specialistico della psicoanalisi e spazia dalla politica alla filosofia, dalla linguistica, alla musica e alla letteratura.

La psicoanalisi come “democrazia degli affetti”

L’ispirazione etico-politica che lo animava non limitava l’uso dello strumento psicoanalitico all’interpretazione del funzionamento psichico individuale o gruppale, ma lo applicava alla cultura affettiva della famiglia naturale e di quelle sociali, ai luoghi di lavoro e alla polis, invitando a non temere di “sporcarsi le mani” con la realtà dei servizi, delle scuole, dei gruppi di lavoro, della politica. La teoria psicoanalitica che Franco Fornari andava formulando in quegli anni autorizzava a credere alla possibilità di instaurare quella che lui definiva “la democrazia degli affetti”, non solo nella realtà intrapsichica, ma in quella relazionale, istituzionale e sociale.

Fra la fine degli anni ‘60 e la sua improvvisa scomparsa, il 20 maggio del 1985, Franco Fornari è stato fra gli intellettuali e gli opinion leader più riconosciuti e ascoltati del nostro paese, grazie anche alla sua attività di editorialista del Corriere della Sera, che con i suoi articoli spaziava nei diversi ambiti della vita sociale, politica e culturale, contribuendo a diffondere la psicoanalisi fuori dalla stanza d’analisi.

Nonostante il successo umano e professionale di cui ha goduto in quegli anni, in cui oltre a svolgere attività clinica e di docente universitario, ha rivestito importanti incarichi istituzionali anche all’interno della SPI, di cui è stato Presidente dal 1973 al 1978, Fornari è oggi un autore poco citato nella letteratura psicoanalitica, si può dire sia quasi scomparso dal nostro Pantheon di antenati.

Gli scritti di psicoanalisi di Franco Fornari

Forse lo studio e la diffusione dei suoi scritti è stato ostacolato dal linguaggio criptico dei suoi testi teorici, caratterizzati dall’uso di neologismi tratti da discipline diverse (valga per tutti il termine ‘coinema’, derivato dal concetto di ‘fonema’ in linguistica), anche se quest’argomento, spesso citato, appare insufficiente, se paragonato al successo di altri autori dal linguaggio almeno altrettanto ermetico; forse, al disconoscimento del suo contributo possono aver contribuito alcune posizioni di rottura rispetto alla tradizione psicoanalitica, come l’insistenza sul carattere ‘ostensibile’ della psicoanalisi, che Fornari riteneva dovesse essere insegnata nelle università e applicata ai diversi ambiti della vita sociale, dalla politica alla pedagogia.

Il clima utopico di quegli anni, in cui molti pensavano di poter cambiare il mondo, permeava la ricerca di Franco Fornari, che credeva nella possibilità di elaborare i conflitti non solo intrapsichici e relazionali, ma anche politici e sociali, grazie alla straordinaria potenza di uno strumento psicoanalitico in grado di uscire dalla stanza d’analisi per interpretare le dinamiche affettive dei gruppi, delle istituzioni, perfino delle nazioni, ed instaurare una ‘democrazia degli affetti’.

L’aspetto ‘militante’ della teoria dei codici affettivi, espressione del clima culturale di quegli anni, probabilmente non ha favorito l’approfondimento del suo contributo teorico all’interno della comunità psicoanalitica. Perfino agli allievi di allora, studenti universitari e specializzandi ancora lontani dall’aver acquisito una formazione clinica psicoanalitica, ma fortemente appassionati dell’aspetto utopico del lavoro di Fornari, capita di sorridere ricordando le imprese di quegli anni, quando con un’improntitudine animata dall’autorità del Maestro e dalla fede nel suo progetto, si organizzavano interventi di formazione nelle istituzioni sanitarie, in grandi aziende o in istituti scolastici, somministrando l’analisi di codice a gruppi di primari ospedalieri e a intere équipe psichiatriche, con una fede nella potenza del metodo che consentiva di proporre quel linguaggio esoterico a culture professionali e istituzionali così diverse. La presenza di una guida autorevole e riconosciuta, e la fiducia nella potenza euristica del modello, consentivano di affrontare con una certa spudoratezza, talvolta perfino con intenti di colonizzazione culturale, questo genere di sfide.

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Negli anni successivi la ricerca e l’applicazione delle teorie di Fornari, in particolare dell’analisi di codice, alla clinica e alla lettura delle dinamiche relazionali familiari e sociali, è andata assumendo toni diversi, nel tentativo di tradurre quella stessa logica interpretativa delle dinamiche cliniche e dei fenomeni sociali in un linguaggio meno ostico. Aldilà, infatti, delle asprezze linguistiche e delle logiche totalizzanti, rimangono nel pensiero di Fornari, concettualizzazioni che meriterebbero di essere riconsiderate, alcune delle quali, peraltro, oggi largamente condivise e magari attribuite ad altre tradizioni psicoanalitiche, che le hanno diversamente formulate: l’inconscio semiotico e la sua tensione a comunicare piuttosto che a rimuovere e censurare; i codici affettivi come sistemi motivazionali inconsci che organizzano la vita psichica degli individui e dei gruppi; la “democrazia degli affetti” come modello etico che orienta il benessere individuale e collettivo.

A chi ha avuto la fortuna di incontrare Franco Fornari negli anni della sua formazione, rimane in ogni caso la gratitudine e la consapevolezza di essere stato molto fortunato a incontrare un Maestro nel senso pieno del termine, capace di riconoscere e valorizzare i contributi di tutti, di contenere – in senso psicoanalitico – il percorso di crescita culturale e professionale dei propri allievi, e di costruire per loro luoghi di apprendimento e aree di appartenenza così solide da sopravvivergli.

di Elena Riva

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