Difficile parlare di un uomo, un collega, uno psicoanalista che così tanta traccia ha lasciato in vita.
Partiamo dalla fine.
Ci ha lasciato dieci anni fa, tradito da un malore mentre nuotava nel mare di Camogli.
Era estate, tutti in vacanza o al Congresso IPA. Sembra proprio la sua ultima beffa, lui così pronto all’ironia e alle battute. Andarsene quasi di nascosto, cosa anomala per una persona che non passava certo inosservata quando era presente in qualche situazione. Grazie ad una carica affettiva incredibile ed un carisma che il solo suo aspetto fisico era in grado di esercitare e far provare.
Aveva quasi 85 anni, ma era vitale e pieno di progetti come sempre.
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La laurea e il rapporto con la psicoanalisi
Laureato in Medicina nel 1949, un anno dopo iniziò a frequentare l’Istituto di Psicologia dell’Università di Milano, diretto da Cesare Musatti. Fu assistente e coadiutore alle esercitazioni e lavorò al fianco di Franco Fornari, Renato Sigurtà e Franco Ferradini. Nel frattempo si legò a Franco Ciprandi, Marcella Balconi, Maria Elvira Berrini, Tommaso Senise, Mariangela Barbieri, Pietro Veltri, giovani colleghi interessati alla psicoanalisi da un punto di vista culturale e terapeutico. Con loro completò la preparazione in ambito psicoanalitico partecipando alle serate organizzate da Cesare Musatti. Con lui iniziò l’analisi nel 1951 e entrò a far parte della Società Psicoanalitica Italiana, di cui divenne poi AFT.
Con la SPI ha avuto un rapporto a dir poco conflittuale. Gli piaceva parlarne in senso critico, ma ne faceva parte in modo orgoglioso ed appassionante. Amava la psicoanalisi e credeva nella sua utilità. Forse per questo motivo si dispiaceva se, a suo avviso, non veniva applicata secondo giuste indicazioni.
La nomina a direttore del Centro di Psicologia Clinica a Milano
Interessato ad approfondire il trattamento nel campo della psicopatologia grave, nell’ottobre 1952 varcò per la prima volta la soglia dell’Ospedale Psichiatrico provinciale di Milano in Mombello. Incoraggiato dai miglioramenti notati durante le sedute, si convinse che fosse possibile accostarsi con un trattamento integrato bio-psico-sociale anche ai pazienti psicotici. Nello stesso tempo fu nominato consulente dell’Amministrazione provinciale di Milano, prima come responsabile del Laboratorio di Psicologia dell’Ospedale psichiatrico “Paolo Pini”, poi, dal 1979, come direttore del Centro di Psicologia Clinica della Provincia di Milano. In tali strutture praticò la psicoanalisi istituzionale attraverso il cosiddetto “modello dell’integrazione funzionale”, formando un gruppo di lavoro in cui collaboravano psichiatri, psicologi, psicoanalisti, infermieri e assistenti sociali.
Lo scopo era capire e rispondere ai bisogni dei pazienti. Soprattutto quello di non aver bisogno.
Zapparoli diceva poi che i bisogni del paziente sono molteplici per cui è necessaria una pluralità di interventi realizzati da esperti in diverse discipline. Ma soprattutto psichiatra, psicoterapeuta, chi svolge l’assistenza e chi svolge la rieducazione, devono essere consapevoli della necessità di usare una metodologia di integrazione. Uno di questi esperti non può realizzare da solo il proprio intervento, senza tener conto di quello degli altri: il farmacoterapeuta deve pensare che ci sono anche lo psicoterapeuta, gli assistenti, i rieducatori, e viceversa.
Era molto intelligente e lo sapeva. Non tollerava chi non usava la propria di intelligenza e non faceva nulla per nasconderlo. Era simpatico e spiritoso, e praticava un’ironia a volte al confine del sarcasmo, ma sempre con un profondo rispetto dei suoi interlocutori, pazienti o allievi che fossero.
La docenza in psicologia e la formazione
Il lavoro clinico quotidiano è sempre stato la sua grande passione, affiancata a quella per l’insegnamento e la formazione. Nel 1958 aveva conseguito la Libera Docenza in Psicologia, ma dopo la bocciatura al concorso per una Cattedra, nel 1963 lasciò l’Università.
Ciò nonostante ha formato generazioni di psicoanalisti e psicoterapeuti, che hanno diffuso e continuano a diffondere il suo pensiero (teorico, clinico, istituzionale).
Gli piaceva anche scrivere. Ha fondato e diretto varie collane editoriali. I suoi libri sembravano così semplici quando li leggevi la prima volta, poi li chiudevi e ti rendevi conto che capire davvero era un’altra cosa. Finché un giorno, dopo mesi, a volte anni, un paziente diceva una frase e lì capivi, e restavi sbalordito dalla precisione con cui riusciva a entrare in contatto con la mente e con l’animo umano.
Gli aforismi sulla psicoanalisi e sulla vita
Erano proverbiali anche i suoi aforismi. Ne ricordo qualcuno al volo:
- “Si può considerare guarito uno psicotico se si è disposti a dargli in sposa la propria figlia.”
- “L’analisi non è una garanzia contro la stupidità.”
- “Per essere sicuri che un’analisi funzioni bisognerebbe poter lasciare lo stesso paziente per lo stesso tempo (45 minuti, 4 volte la settimana, per anni) sotto un lampione…e poi confrontare i risultati.”
E poi l’ultimo, un pò profetico.
“Sui giornali si va solo quando si nasce e quando si muore.”
Mentre è importante che di Zapparoli si continui a ricordare ciò che ha pensato, detto e scritto.
di Pietro Roberto Goisis
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